
Cara Silvia eccoti alcune mie considerazioni: lavorando nel sociale e mettendomi a disposizione di diverse persone che non ce la fanno a "tirare avanti" da sole, incontro anche il mondo che nella nostra società volge ad offrire un aiuto a questa gente, una risposta alla loro indigenza o per lo meno dovrebbe farlo...... e relazionandomi con politici, servizi sociali, enti caritativi di vario genere che si propongono all'insegna della SOLI-DARIETA' mi sento di dire apertamente ciò che penso.
"SOLI (darietà) con il prorio problema" è lo stato in cui spesso ci si avanza ad attendere un aiuto concepito per esser efficace dalle realtà appena citate, ma che ahimè si rivela tale sempre più solo sulla carta.... magari proposto in un ente comunale come progetto luccicante dal politico di turno che punta a prendere dei voti dalla gente accattivandosene la simpatia, o in un ente caritativo dove ormai l'arrivismo e l'autoreferenzialità sono divenuti "vangelo" per un ampio numero di persone. Non sparo su fazioni politiche, non sparo sui preti piuttosto che i vescovi o le suore, ma su ciò che in ogni ambiente che esiste all'insegna dell'aiuto umanitario più o meno istituzionalizzato, tiranneggia ed impedisce il retto agire di chi si fa carico delle grandi responsabilità volte al mondo sommerso della povertà e precarietà sociale (tutto ciò fa una gran gola all'uomo da migliaia di anni pur se sempre più mascherato e giustificato): POTERE, POPOLARITA', DENARO.
La posizione più delicata , me ne accorgo spesso a mie spese, non è quasi mai quella di chi riveste ruoli elevati in questo ambiente, ma quella di chi opera a stretto contatto con le ferite delle persone in difficoltà indipendentemete dalla sua bassa posizione gerarchica nel contesto.
Questo è il ruolo di chi mette "le mani" nelle disgrazie altrui, di chi valorizzando al meglio il proprio dolore come dici già tu nella bella presentazione, può accorgersi, immedesimarsi, empatizzare quello dell'altro.......
E' anche vero che una volta chiaro il percorso dell'aiuto, una volta motivata ed accompagnata la persona da aiutare con chiarissimi segni di bisogno ma anche di prpositività ad accogliere o attuare l'aiuto su se stessa, ci si imbatte in un terribile problema: L'INDIFFERENZA......
Non parlo d'indifferenza "generica" della società, se non esistesse quella occorrerebbero molti meno aiuti e progetti d'aiuto ma quella degli enti specifici di riferimento, che nella stragrande maggioranza dei casi se sei un pinco pallino qualunque non ti considerano minimamente .
Sia il recupero del tossico dipendente, sia l'accoglienza del senza tetto, sia il reinserimento del precario o del detenuto, li vivo nelle mie attività come momenti bellissimi di gioia, che giustificano ogni mia fatica. Quando però si arriva a mediare il tuo contatto (povero, detenuto, prostituta etc.) con un'istituzione che offre soluzioni (o meglio lo fa certamente sulla carta di forbitissimi e dettagliatissimi progetti) proprio perché concepita per questo, pur avendo fatto un discernimento, preso decisioni importanti, senza escludere dure prove concrete in tutta la loro "fisicità" (anche in termini psichici) come disintossicazioni farmacologiche e percorsi in comunità ti senti dire: "NON ABBIAMO SOLDI CI SPIACE"..... oppure: "NON ABBIAMO POSTO"..... o meglio: "L'ABBIAMO GIA' AIUTATO/A, MA ADESSO NON POSSIAMO PIU' FARLO!!!"
Ci sarebbe molto da dire, eccoti la mia piccola denuncia: "ESISTE UN CANCRO TERRIBILE NELLA NOSTRA SOCIETA' CHE GENERA SOLITUDINE, EMARGINAZIONE, TRISTEZZA....
IL SUO NOME E' "INDIFFERENZA"
(dedicato a tutti quei politici che "mangiano" sugli aiuti umanitari, a tutti quegli impiegati dei s. soc. per i quali "anche se la gente muore la busta di fine mese arriva lo stesso", a tutti gli enti caritativi che di ciò che arriva per i poveri fanno una selezione e il meglio se lo portano a casa, a tutti quelli che distribuiscono le coperte in stazione e....la sera le buttano!?!?!?!...................)
ciao Pietro.